Bussana, dall antico all nuovo paese, un libro di Nilo Calvini
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Si prega di firmare la petizione per salvare Bussana Vecchia

Aggiornato: 13 aprile, 2018

Bussana, dall'antico al nuovo paese è stato scritto dal professore Nilo Calvini alla fine degli anni '80.
Proveniente da una famiglia che soffrì terribilmente nel terremoto del 1887, scrisse diligentemente il terremoto e le sue conseguenze per gli abitanti di Bussana. Il suo libro racconta l'orribile storia della gente di Bussana, vittime non solo di questo terremoto ma anche delle manipolazioni governative e municipali che ne seguirono. Il libro è stato sostenuto e stampato dal Sindaco di Sanremo, Leone Pippione, che ha riconosciuto la ricerca di Calvini e ha voluto rendere tutti consapevoli della sofferenza della gente di Bussana. Un passo coraggioso per un funzionario governativo.

Il libro di Calvini è fuori stampa da decenni ed è difficile da trovare sul mercato di seconda mano. Le persone che possiedono il libro di Calvini appartengono spesso alle famiglie tormentate dal terremoto. Lo considerano un tesoro e sono emotivamente attaccati ad esso. Uno di loro è stato così gentile da prestarmi il libro, a condizione che fosse restituito il prima possibile.

Non immaginavo l'orrore che travolse i poveri abitanti di Bussana che erano stati prevenuti dai soldati, sotto la minaccia di una pistola, per salvare i loro familiari da sotto le macerie, che avevano sparato, e furono costretti a lasciare la loro paese di cui erano ancora grandi parti abitabile. Dovettero vivere per molti anni in baracche di scarsa qualità per le quali dovevano pagare l'affitto, e furono costretti ad acquistare nuovi terreni e case (a proprie spese) nell'area designata di Bussana Nuova. Quando il governo si rese conto che preferiva rimanere nella vecchia paese, tagliò la riserva d'acqua e distrusse molte più case, lasciando gli abitanti senza altra via d'uscita. Mentre chiudevano completamente il paese per gli abitanti, gli amministratori corrotti hanno fatto bei soldi permettendo ai ladri di rubare tutti gli oggetti di valore.

Storie minori sono state trasformate in film premiati.

Pubbliche scuse e il risarcimento delle famiglie superstiti sarebbe giusto. Guardando la situazione di oggi, non è cambiato molto per Bussana Vecchia. Ad essere sinceri, né per le tante altre città che sono state recentemente colpite dai terremoti in Italia e hanno sofferto dell'approccio "New Town" dell'ex governo Berlusconi. Vedi questo articolo. L'audacia del Demonio e del comune di trasformare Bussana in un luogo Disney con centro di informazione sul terremoto, iniziando con lo sfrattare degli attuali abitanti, viola ogni principio umano.

Ancora: si prega di firmare la petizione per salvare Bussana Vecchia.

Ho digitalizzato il libro nella sua interezza e l'ho trasformato in un pdf. Per facilità d'uso ho aggiunto alcune pagine aggiuntive con migliori scansioni di alcuni dei disegni. Clicca sull'immagine per scaricare il libro di Nilo Calivini (53 MB, italiano, versione 144 dpi).

Bussana, Calvini, 53MB

Mi scuso in anticipo per aver violato eventuali diritti di copia. Idealmente, dovrebbe esserci una ristampa di questo importante libro....

Se leggi i Capitoli 1, 2 e 9, otterai una impressione dei disastri che hanno colpiti gli abitanti.

Ecco alcuni stralci. I commenti sono tra [ ... ]


BUSSANA, DALL' ANTICO AL NUOVO PAESE

CAPITOLO I

I - La massima sventura colpiva il nostro vecchio paese il 23 febbraio
1887 alle ore 6,25.
II campanaro aveva suonato da poco la chiamata dei fedeli alle sacre funzioni. Quell'umile squillo di campane segnava di consueto l'inizio della giornata lavorativa per l'intero paese; molti, prima di recarsi al lavoro dei campi si soffermavano, almeno per alcuni minuti, in chiesa; quel mattino, ricorrenza delle «Ceneri», la gente stava affluendo più numerosa del solito, sebbene alcuni, al contrario, dormissero ancora profondamente per aver vegliato più a lungo alla sera precedente, l'ultima di Carnevale.
Era ancora buio; i ragazzi ed i bambini dormivano nelle strette stanze, su comuni pagliericci di foglie. Il cataclisma arrivò improvviso: solo un cupo boato, una furiosa ventata, un misterioso rombo annunziarono che qualcosa di spaventoso stava accadendo; fu un vano avvertimento che solo aumentò il terrore: una scossa tellurica di 20 secondi seminò immediatamente la morte su tutto il paese. Per questa prima scossa, forse ondulatoria, cadde un pesante muro che si ergeva per circa cinque metri sopra la facciata della chiesa: il cupo rimbombo di quel crollo, cui si aggiungevano tanti altri disastri, atterri le persone che erano in chiesa. Il parroco Don Lombardi aveva appena terminato la distribuzione delle Ceneri; compreso il pericolo, urlò ai fedeli di salvarsi nelle cappelle laterali, accompagnando il consiglio con invocazioni alla Divina Misericordia. Ma nel frattempo ecco una seconda scossa sussultoria: la volta della chiesa, spinta verso l'alto, si fessurò in tutta la lunghezza; nel richiudersi non combaciarono bene le parti che si erano aperte: di schianto tutta la pesante volta sprofondò a terra.
Non tutti i fedeli in quei pochi istanti erano riusciti a fuggire nelle cappelle; alcuni furono travolti e sommersi dai calcinacci; fortunatamente le robuste panche, sotto le quali istintivamente essi si rifugiarono, contribuirono alla salvezza di molti.

2 - Diamo ora uno sguardo all'intero desolato paese.

La fuga dalle abitazioni era crudelmente difficile: non una lampada rischiarava le strette e tortuose vie del paese; le case, addossate le une alle altre e spesso unite dai bui archivolti, gli scalini, le strettoie, le svolte, i sassi sporgenti, le buche aumentavano le difficoltà; il terrore poi paralizzava un pò tutti, ma specialmente i bambini che urlanti si aggrappavano ai genitori aumentando le difficoltà della fuga.
La situazione fu veramente tragica nella parte alta del paese, chiamata «Le Rocche», a nord della Chiesa parrocchiale. Uno strapiombo circondava quel gruppo di case addossate al castello feudale; una sola strada sfociava nella parte bassa, presso la Chiesa; ma il crollo di tante case aveva riempito di macerie gli archivolti, ostruendo completamente il transito.
Alcune centinaia di persone si trovavano cosi chiuse a soffrire i danni delle prime due scosse, quasi simultanee, delle ore 6,25 e 6,30 e di un'altra non meno violenta delle ore 9. Solo dopo molta fatica fu aperta una via di scampo attraverso stalle e fondi, che permise ai superstiti di raggiungere la piazza della Chiesa, nel punto dove ancor oggi si vedono le due solide arcate.
Quanti ricordi, tuttora vivi, di scene strazianti: Luigi Torre, che si trascinò per le vie con una gamba spezzata; Luigina Rolando, talmente sanguinante che non fu riconosciuta da alcuni suoi parenti; la famiglia Gramegna, rimasta imprigionata al secondo piano, che implorava aiuto dalle finestre: ma dove trovare in quei momenti una scala per farli scendere? Analoga sorte toccò ad altre famiglie; alcuni si lanciarono giù, salvandosi, ma ferendosi; altri furono più fortunati in tanta disgrazia, come Pietro Ceriolo che trovò una grossa corda: calò giù prima la moglie, poi ad uno ad uno i suoi figli, poi mise in salvo sé stesso Quanti altri invece dovettero attendere l'aiuto di pietosi compaesani. E a questo proposito sento il dovere i elogiare tutti i Bussanesi che in quel tremendo giorno furono tutti solidali e generosi nel soccorrersi a vicenda, anche oltre i limiti delle loro forze.

E' da ricordare l'ex sindaco Giuseppe Calvini (del ramo dei Gagli) che per vecchi rancori verso gran parte della popolazione da anni non usciva più di casa! Eppure quel giorno, ben lontano dall'idea della fuga, fu visto scavare nelle macerie della Chiesa (abitava a pochi metri da essa) in aiuto dei miseri concittadini rimasti sepolti nel crollo della volta. Poco allenato ormai allo sforzo fisico, si accaldò tanto nel lavoro che mori di polmonite pochi giorni dopo.
E ricordo Don Lombardi che in quei momenti dimostrò di essere all'altezza della sua missione, assistendo i feriti per alcuni giorni e notti consecutive. E mi sia permesso ricordare solo qualcuno fra i tanti coraggiosi che si fermarono tra le macerie per estrarre dalle rovine i feriti e coloro che non avevano potuto fuggire: Ceriolo Pietro e Luigi; Nobile Isidoro, Pasquale e Francesco; Calvini Terzo, Federico e Luigi; Donetti Giacomo, Vincenzo e Pasquale, Podestà Innocenzo; Rodi Londrino; Lepreri Pietro, Novella Antonio e tanti, tanti altri, che non ebbero poi altra ricompensa che un breve elogio dal Consiglio Comunale.

Ma qui è necessario fare un doloroso accenno: nella stessa mattina del 23 febbraio giunse un plotone di soldati che fecero rispettare uno strano ordine: tutti i Bussanesi dovettero sospendere le ricerche dei morti e dei feriti; il paese dovette essere sgombrato! La popolazione superstite si ritirò fuori del paese in un vigneto del prevosto, che Don Lombardi mise a disposizione come luogo di raccolta per la spaurita popolazione. Qualche salvataggio fu ancora effettuato nei giorni seguenti, ma clandestinamente: è questo il caso di Calvini Leonina e di Soleri Giuseppina con la figlia Antonia.
Questo malaugurato ordine, che trova una stentata giustificazione nel tentativo di evitare ulteriori disgrazie per i continui crolli di muri, aumentò i patimenti della martoriata popolazione perché i soccorsi esterni di viveri e di indumenti, data la lentezza dei mezzi dell'epoca, arrivarono solo dopo qualche giorno.
I miseri corpi di coloro che erano stati trovati morti, furono dolorosamente collocati nell'oratorio, rimasto quasi intatto, trasformato nel giro di poche ore in impressionante testimonianza della rovina del paese.
Alla sera del 25 febbraio il sindaco G.B. Geva diede ordine di seppellirli in una grande fossa comune nel camposanto. Per evitare nuove scene strazianti, fu deciso di evitare il rituale accompagnamento: il mesto corteo fu composto solamente dal prevosto, da un chierico che reggeva la Croce, da due confratelli della Confraternita di San Giovanni Battista con i fanali; seguivano alcuni carri carichi dei cadaveri. I Bussanesi umilmente accettarono questo estremo sacrificio: al calar delle tenebre, quando il mesto corteo si avviò al camposanto, tutti si inginocchiarono sulla fredda terra a singhiozzare e a pregare: 55 dei loro cari erano scomparsi per sempre.

3 - La maggior parte dei morti si ebbe nella parte alta del paese, sia perché era la parte più antica, sia perché le rovine impedirono la fuga attraverso la Montà, unica possibilità di uscita della parte alta del paese.
[ … ]
La famiglia di Soleri Giovanni Battista, fu Giovanni Battista, di anni 68, detto Lumetre; egli era nella stalla, intento a preparare la mula per recarsi in campagna; avvertita la scossa di terremoto, si rifugiò sotto un archivolto, che infatti non crollò, tuttavia rimase talmente contornato da macerie che mori di assideramento e di fame. Fu ritrovato molto tempo dopo, in piedi sotto l'archivolto, senza nessuna ferita.
[ … ]
I morti in tutto il paese furono 55 e 30 i feriti gravi. Numerosissimi i feriti che si curarono.... da soli e soffrirono per anni delle conseguenze.


CAPITOLO II

1 - Sospensione della ricerca delle vittime. Furti.
2 - Le tende militari.
3 - Prime delibere. Ricompense.
4 - Arrivo dei primi soccorsi e delle baracche.
5 - Vita nelle baracche e prezzi dell'affitto.

I - Nei primi giorni dopo la catastrofe del 23 febbraio le autorità comunali, travolte dallo sbigottimento e dai lutti aggravati da tante improvvise e impensate nuove difficoltà, non trovarono nemmeno il tempo e il modo di adunarsi in regolare Consiglio.
Sembrava inutile qualunque decisione: nessun provvedimento avrebbe avuto pratica attuazione in quei tristi momenti di pianto, di sconforto, di terrore. Sembrava soprattutto inutile trascorrere ore in discussioni quando si sapeva che sotto le macerie languivano persone ancor vive, in disperata attesa di aiuto.
Difficile ora la ricostruzione nei dettagli degli avvenimenti di quei primi due o tre giorni attraverso i documenti ufficiali.
Ricorriamo perciò al racconto dei testimoni dell'epoca molti dei quali, interrogati da scrittori degni di fede, hanno tramandato le loro vive e talvolta terrificanti impressioni.
Purtroppo non ci forniscono utili informazioni i giornali dell'epoca che, come scriviamo in apposito paragrafo, ben poco riferirono su Bussana e anzi talvolta riportarono notizie raccolte in altre località, senza controllo sulla verità.
II plotone di fanteria, comandato dal tenente Isidoro Mattei, giunto da Sanremo verso il mezzogiorno di quel tragico 23 febbraio aggravò il dolore e i lutti ai già infelici superstiti.
Incredibile, se non fosse ben riportato da tutti i testimoni, l'ordine impartito ai soldati appena giunti in Bussana di fare sospendere ogni ricerca dei sepolti sotto le macerie, e far uscire i superstiti che con ansioso lavoro, cercavano di strappare alla morte i feriti.
Scrive l'avv. Vincenzo Donetti, presente ai fatti.
Il tenente, «per impedire che nella affannata ricerca dei loro parenti in mezzo alle macerie, i superstiti potessero incontrar disgrazia, fece uscire tutti dal paese e lo fece chiudere, ponendovi delle sentinelle alle porte, con ordine di vietare l'ingresso a chicchesia. E cosi fu impedito ogni ulteriore salvataggio.
E poiché la misera popolazione strepitava, si minacciavano pene severissime a coloro che si fossero ribellati agli ordini impartiti, o che comunque li avessero deplorati; tantoché sarebbe aumentata di due la spaventosa cifra delle cinquantasette vittime, se due coraggiosi giovani del paese Torre Pasquale (vulgo Zaccaria) e Donetti Pasquale fu Luigi, incuranti di tali ordini, non avessero riportato di aver sentito dei lamenti e dei gemiti, fuori delle mura del paese, dalla parte di ponente, passando, in prossimità della casa di Soleri Gio Batta, e non si fossero quindi recati sul luogo, aiutati dal messo comunale Soleri Giovanni».
In una sua nota manoscritta aggiunge: «Io mi trovavo presente, e dovetti assistere ad una cosa deplorevole. Il sindaco Geva, inadatto a sostenere la situazione creata dal terremoto, erasi lasciato sopraffare dal tenente Isidoro Mattei» del quale descrive le malefatte. Aveva dato ordine alle sentinelle di sparare sui bussanesi che fossero entrati in paese; e l'ordine fu eseguito contro Isidoro Nobile, detto Pietro di Giuditta, che era andato in casa a prendere delle coperte perché i suoi figli avevano freddo. Fortunatamente la fucilata andò a vuoto. Fece imprigionare un gruppo di Bussanesi, tra i quali Giovanni Calvini (Vinello) perché avevano protestato; rimasero chiusi in una baracca per 24 ore.
Anche Don Novella, pure presente ai fatti, ribadisce questa misera situazione: mentre alcuni bussanesi erano in paese qualcuno li fece fuggire con l'allarme diffuso ad arte che il campanile della chiesa stava per crollare. E aggiunge poi: «L'autorità comunale avrebbe meglio applicato il suo mandato se fosse stata lasciata libera di agire. Invece il comando fu assunto dall'Autorità Militare, non sappiamo con quale diritto, e ne derivò una certa contusione. Anche al parroco Don Lombardi veniva limitata la libertà di adoperarsi per il bene pubblico e ciò fu un danno per la popolazione».
Il Maineri inviato due anni dopo il terremoto dal Ministero per una visita ad alcuni dei paesi più colpiti, riferisce quanto gli confessò con voce strozzata dal pianto un testimone: dopo aver elogiato i soldati che avevano eseguiti gli ordini ricevuti «noi serberemo loro riconoscenza ma se non fossero venuti, non avremmo a piangere ventuno cadaveri che giacquero sotto le rovine. Lo so bene, essi hanno obbedito ai superiori, hanno adempito agli ordini ricevuti, in tutta buona fede, con zelo; ma noi avremmo fatto meglio le cose nostre. Il postare tante sentinelle, il proibire a' nostri paesani di continuar gli scavi, fu male; per questo sospendemmo il salvataggio, che sino alle nove aveva dato si buoni risultati; e avvennero tanti furti da non credere. Proprio cosi!» .

Racconto analogo si legge nel libro di A. Cappello: «Il salvataggio, che aveva dato cosi buon risultato fino alle nove del mattino, fu sospeso quando giunsero i soldati: vennero poste le sentinelle e nessuno potè più tornare in paese; perché dicevano che era pericoloso. Ebbene, mentre noi terrazzani non potevamo più rientrare, sbucarono, di non so dove, delle facce proibite, e deludendo le vigilanze dei soldati, si recarono nelle case e rubarono quanto poterono!
…………..Questo pazienza! Ma l'impedirci di soccorrere i nostri!............. »
Fu ritrovata Giuseppina Soleri; «la fiducia rinacque in tutti i cuori quando la rividero e con grandi stenti si ottenne il permesso di procedere di nuovo agli scavi, ma mentre ci avvicinavamo alla piazza una voce gridò: "Fuggiamo presto, il campanile barcolla!" Lo spavento invase tutti, e i più discesero a precipizio……………
Insomma un diavoleto che non si dire, e noi tutti senza accorgerci del brutto tiro, che ci era stato giocato, abbandonammo gli scavi».
Riferiamo ancora una successiva testimonianza raccolta dalla viva voce di testimoni che ben ricordavano quei fatti e non erano mai stati né smentiti, né modificati:
« ………un tenente nel lodevole intento di evitare altre sciagure, fatti uscire quanti si indugiavano a scavare tra l'ingombro dei materiali edilizi, fece piantonare il paese impedendo a chicchessia di penetrarvi. La disposizione, in teoria legittima, in pratica urtava contro il desiderio forsennato di coloro che ancora speravano di trarre a salvamento qualcuno dei loro cari. Ne nacquero diverbi e contese, e solo si deve alla disubbidienza di alclini terrazzani se due creature, una madre e una figlia poterono essere salvate».
Sono numerose le accuse di furti compiuti da misteriori individui nelle case e specialmente nelle cantine. La tradizione ha tramandato molti racconti che non voglio raccogliere. Cito soltanto qualche frase di una lettera scritta in aprile dal sindaco Geva: prega il sindaco di Sanremo di far eseguire severi controlli al Dazio circa il vino che veniva importato in città «atteso che da noi si verifica un vero bottino nelle cantine». Denuncia il furto di «una seria quantità di vino in bottiglie, in botte, rubato in tutte le principali cantine, compresa la mia».
Negli stessi giorni Bartolomeo Bongiovanni chiede un sussidio perché "finti aiutatori" gli avevano rubato quanto possedeva: L.90. E' evidente che mancò una direttiva sia per il disorientamento degli amministratori travolti dal terribile disastro sia degli "aiuti" esterni. Prese dunque il comando del paese il tenente Mattei che lasciò tante oscure ombre sul suo operato: fu detto che voleva accompagnare in visita al paese vigilato dalle sentinelle le personalità che vennero in aiuto degli infelici Bussanesi. Pare che esercitando tale incombenza abbia intascato qualche somma che generosi benefattori avevano a lui consegnata. Paurosa accusa di disonestà avanzata forse perché il suo nome non figura tra coloro che consegnarono all'apposito Comitato di Soccorso le somme ricevute dai benefattori.
Requisì di sua autorità una bisacca di caffè e di zucchero e una discreta provvista di vino all'unico negoziante di Bussana, G.B. Soleri. Erano destinati agli ammalati e ai feriti e il Soleri fu rimborsato dal Comune di Bussana solo dopo due anni per i contrasti sorti tra le parti per questa fornitura.
E' noto che il Mattei chiese al Consiglio Comunale un attestato di benemerenza affermando di aver salvato alcune persone con pericolo della propria vita, mostrando anche una ferita e che le autorità competenti rifiutarono tale riconoscimento dichiarando che la ferita se l'era procurata per bruciatura di una sigaretta.
A lui si affiancò un losco individuo, sedicente marchese Rinaldi, che spacciandosi per un rappresentante del Comitato Soccorsi di Firenze promise grandiosi aiuti, ma tentò (e riuscì?) di appropriarsi di qualche somma. Smascherato dopo pochi giorni riuscì a fuggire da Bussana e pare sia stato poi arrestato.

2 - Quel giorno stesso 23 febbraio giunsero da Ventimiglia una quarantina di tende militari, in tela incatramata che i Bussanesi montarono come fu loro possibile.
Riporto qui quanto scrisse in proposito Don Novella che ben ricordava il fatto: «I più esperti avevano costruito tende alla militare, e qui sotto si rifugiarono i bambini. Presso le porte del paese aprivasi una grande fossa che in altri tempi aveva servito come deposito ad un frantoio di ulive. La gente si accoccolò tutto in giro, cercando di ripararsi dal freddo con qualche copertone».
E cosi descrive quanto avvenne in seguito: «La popolazione in un primo tempo aveva dovuto vivere sotto le tende, in campo aperto. Era necessario dormire vestiti in tre, in quattro famiglie, uomini e donne, giovani e zitelle, fanciulli e lattanti. In una sola tenda tre persone tra cui il parroco e il Padre G. Comanedi stettero per un mese senza mutar vestito, riparandosi quando pioveva, coll'aprire gli ombrelloni sopra il letto».
Tutti questi disagi, ruberie e soprusi restarono ignorati dalle superiori autorità governative che vantarono la prontezza e la validità dei soccorsi subito giunti ad offrire un confortante sollievo al popolo di Bussana. Il Commissario Prefettizio Annibaie Berti nel suo intento di elogiare l'opera governativa di soccorso ai danneggiati, in una sua lunga relazione, espresse sperticati elogi al Biancheri presidente della Commissione per i danneggiati, che diede «modo ai danneggiati del terremoto di riparare ai danni sofferti»! E affermò tranquillamente che «in pochi giorni dalla notte del 23 febbraio, onde dar ricetto ai cittadini che atterriti si erano allontanati da Bussana, furono dal Genio militare costrutte, su di un terreno pianeggiante alle falde del paese, oltre a cento baracche»!
Purtroppo però come sopra detto le cose erano andate diversamente: la popolazione era stata per alcuni mesi invernali sotto tende di tela e chi c'è stato sa benissimo quanto freddo e quasi disagi ciò comporti.
Si pensi che ben poche famiglie disponevano di qualche coperta di lana; forse nessuno possedeva un materasso, certo nessuna un letto a molle!
E tutto ciò è taciuto, senza una parola di commiserazione, tanto più che non si trattava di giovani e robusti militari, ma di una popolazione mal nutrita con bambini anche di pochi giorni, mesi ed anni, con vecchi stanchi e malati, con donne acciaccate dagli stenti e fatiche.

3 - Dopo queste tanto dolorose esperienze e irreparabili danni per alcune famiglie che dovettero lamentare la perdita di qualcuno che poteva essere salvato dalle macerie, la popolazione fece pressione sulle autorità locali per l'elezione di una Commissione che prendesse la direzione del paese.
Fu cosi indetta a questo scopo, forse il 3 marzo 1887, una adunanza popolare nella quale, mancando per morte o ferite quasi la metà dei consiglieri, furono elette otto persone che formarono il gruppo direttivo del paese.
Anche questa Commissione Bussanese però dovette agire «sempre sotto gli ordini espressi dal Signor Tenente comandante le truppe».
In tale adunanza del 3 marzo fu soltanto deciso quali persone potevano entrare in paese ad accompagnare i visitatori, accertare le proprietà dei beni asportati e distribuire i soccorsi che cominciavano finalmente a pervenire anche a Bussana.
La penosa situazione si protrasse cosi nelle angustie e dolori per alcune settimane, senza poter pensare al futuro.
Fu solo nella successiva riunione del 14 marzo che le autorità locali cominciarono a pensare al nuovo destino del paese.
Vi parteciparono 12 consiglieri su 15, e tra Questi anche Calvini Raffaele e Calvini G.B., sebbene feriti dalle macerie. Commemorati brevemente, con parole di elogio, l'assessore supplente G.B. Soleri e 1 assessore anziano Giuseppe Calvini, morti nel terremoto o in sua conseguenza, vennero eletti Giuseppe Calvi e Giovanni Berio al loro posto; quindi il Sindaco riferì le prime notizie sulla necessità di costruire altrove un nuovo paese, come detto nel seguente apposito capitolo.
[ … ]

4- Tra i più utili doni pervenuti dal Comune di Genova e dal Comitato di Soccorso di Porto Maurizio ci fu l'invio di tre vagoni di tavole, travi e tegole per costruire le baracche.
Un primo quantitativo di legname arrivò alla stazione ferroviaria di Arma il 7 marzo, ma ci volle qualche giorno per farle trasportare presso il paese diroccato.
Qualche locale fu costruito assai presto da un gruppo di soldati del Genio Militare giunto, credo, in aprile; ma molte famiglie rimasero nelle tende ancora a lungo.
Furono sistemate tra le prime le due baracche più significative: quella che fungeva da «casa comunale» e l'altra da «chiesa». Non ho precise indicazioni per la prima; della seconda sappiamo che il Consiglio comunale nel verbale del 16 maggio 1887 ringraziò il vescovo mons. Tomaso Reggio del regalo di quella baracca che era stata prima costruita in piazza S. Siro a Sanremo, e non più usata.
Il Comune di Bussana ne curò il trasporto: il 10 giugno, ultimata la sistemazione, fu inaugurata.
Contemporaneamente iniziarono i lavori per le baracche che dovevano ospitare la popolazione. Il loro montaggio andò assai a rilento; occorreva ancora molto materiale: travi, tegole, cartone catramato, che arrivò lentamente nelle settimane successive. Mancava anche la mano d'opera specializzata, le attrezzature e la capacità di trasformare quel legname in sia pur rudimentali capannoni, visibili nelle fotografie eseguite alcuni mesi dopo il disastro.

Fu subito eseguito un «Elenco delle persone alle quali furono distribuite tavole e travicelli per la costruzione della rispettiva loro Baracca». Vi era scritta la seguente nota: «E' obbligo agli stessi di effettuare la costruzione, il più che sia possibile vicino al centro dell'abitato entro lo spazio non maggiore di un mese dal giorno della consegna; in difetto saranno tenuti alla restituzione delle tavole e d'ogni altra cosa ricevuta nonché a tutte le spese e danni che da ciò ne potessero derivare. Resta inteso che le tavole ed altro distribuito restano di esclusiva proprietà del Comune, al quale si dovrà farne la restituzione dopo ricostruito il nuovo paese».
E' senza data, ma risale forse al giugno del 1887. Fino a quel periodo molti erano ancora sotto le tende che furono ritirate dalle autorità comunali con il seguente «avviso» datato 21 luglio: «Tutti coloro che hanno ricevuto tende coniche incatramate, sono invitati a farne tosto la restituzione al consegnatario delle medesime per essere restituite al proprietario. Il Sindaco».
Contemporaneamente alla distribuzione di tavole, con precisi avvertimenti che non si trattava di un regalo, il Consiglio Comunale in seduta (si fa per dire) del 10 gennaio 1888 fissò il canone di affitto che ciascuna famiglia doveva pagare!
E tutti dovettero accettare: chi poteva farne a meno avendo le autorità militari vietato di entrare nelle vecchie case?

5- La Prefettura, bloccò questa delibera. Si potrebbe pensare ad un raggio di umanità che illuminò quelle menti direttive; ma solo in apparenza fu cosi. La Prefettura respinse la crudele delibera comunale solo perché vi volle inserita la frase: «Dalla tassa di affitto sono escluse le persone bisognose».
Era una presa in giro: tutti erano ben bisognosi! Le autorità comunali sono giustificabili per questo ed altri odiosi provvedimenti: c'era disperato bisogno di denaro per le mille carenze collettive, come risulta dai numerosi esempi che cito e dai più numerosi casi che tralascio.
Il Governo aveva fatto pagare ai Bussanesi le spese di trasporto ferroviario proprio di queste tavole per le baracche. L'umanità verso i bisognosi sarebbe stata più esplicita con un esonero di tali aggravi.
Il Consiglio Comunale dovette ancora riunirsi il 30 gennaio 1888 per rifare la delibera, con l'inutile aggiunta voluta dalla clemente autorità governativa. Ed ecco il testo del nuovo verbale nella sua parte centrale: «Che le persone ricoverate nelle baracche in legno fatte costruire a seguito del terremoto del 23 febbraio u.s.; non ché le persone alle quali furono distribuiti i materiali per costruirsene per conto proprio, siino assoggettate ad un annuo fitto relativo all'occupazione del terreno espropriato, alla costruzione effettuata e per l'assegno dei materiali relativi; quale fitto viene stabilito nelle seguenti proporzioni.
a) L. 10 per ciascuna Baracca grande.
b) L. 8 per ciascuna Baracca piccola.
c) L. 4 per cento sul materiale distribuito.
Di esentare da tale tassa le persone bisognose.
Di autorizzare la Giunta Municipale per la formazione del relativo Ruolo, con facoltà alla stessa di esentare dalla suddetta tassa tutte quelle persone che ravviserà appartenere alla Classe indigente,e di diminuire anche la tassa stessa ove lo creda del caso».
Queste difficili distinzioni mettevano in serio imbarazzo gli amministratori; creavano diffidenze, rancori, e pianti; sempre più aumentavano la miseria anche morale. A ciò aggiungiamo il lavoro burocratico e il tempo impiegato dagli amministratori che in una fredda e buia baracca trascorrevano intere giornate a compilare inutili ed odiosi elenchi, o a discutere su complessi problemi imposti dal tragico momento e dalla ottusità dei governanti.
Questo non è che un esempio tra i tanti: gli amministratori del Consiglio di Bussana dovettero cosi compilare anche il «Ruolo di riscossione per il fitto Baracche e provvista dei materiali relativi e occupazione del suolo» e tenerlo aggiornato negli anni successivi. E' un elenco di n. 166 famiglie che pagarono per gli anni 1888, 1889 e 1890 affitti diversi, secondo lo spazio occupato e il numero dei famigliari. Le somme variavano da un minimo di L. 1,50 (Ceriolo Tobia fu Antonio) a L. 30 (Donetti Ludovico di Dionisio).
Da numerosi documenti risultano altre oggi incredibili situazioni: il materiale inviato «per il provvisorio ricovero della popolazione» (e il provvisorio per molti durò circa sei anni) fu talmente scarso che le famiglie dovettero vivere in strettezza anche materiale, riunendo più famiglie insieme. Un elenco segna i nomi di 69 famiglie ricoverate in una ventina di baracche.
Riferisco a questo proposito quanto scrive Don Novella, che quei momenti visse personalmente. «Misere baracche riparavano dai rigori del marzo inclemente. Sconnesse, malconcie, costrutte in furia, lasciavano passare fra le commettiture il vento gelido, e dalle fessure del tetto gocciolava l'acqua». «Le cucine erano scaglionate nelle fascie in aperta campagna, all ora ordinaria si accendeva il fuoco per fare un pò di minestra, ma più d una volta il vento mandò in aria le pentole!».
Né mancarono casi pietosi di gente rimasta per anni esclusa anche da quel misero rifugio. Riferisco una sola domanda. Manetta Calvini di Defendente, abbandonata dal marito, con un figlio in tenerissima età, priva di mezzi, il 25 febbraio 1890 chiese il ricovero in una baracca già costruita: le avevano infatti consegnato solo alcune tavole! .
Analoga lettera al Sindaco rivolgeva (non è indicata la data) Pasquale Torre, che modestamente accompagnò la richiesta con semplici parole: «Se io non potessi avere una mezza Baracca, mi contenterei lo stesso, cioè se mi fosse dato qualche travetto e tanto da potermi comprare cento tegole e pochi listelli. Io dico questo perché avendo già in custodia un numero di pezzi di mattoni mi farei tanto alloggio ad appena andarci a dormire».
Era gente ben rassegnata alla povertà e ben lontana da pretese!
Tralascio altre domande e lamentele che ancor oggi sono in archivio; è facile poi immaginare quante altre siano state rivolte a voce.
Contemporaneamente però la burocrazia statale e molte incresciose polemiche, derivanti dalle sofferenze e preoccupazioni umane, tenevano impegnate le autorità comunali che dovettero perdere intere giornate per compilare elenchi di materiali e di denaro ricevuto e persino quello dei danneggiati del terremoto come se le superiori autorità della Prefettura e del
lo Stato non sapessero che tutta la popolazione aveva subito danni, tutti avevano ricevuto l'ordine di sgombero dalle case!
Eppure il Governo richiese numerosi elenchi dei danneggiati e la compilazione di tanti moduli per qualunque minima concessione. Nel gennaio 1888 un primo elenco dei terremotati per uno di tali privilegi: i danneggiati dal terremoto potevano ritardare di tre mesi il pagamento dell'imposta sui terreni. E il Consiglio comunale applicò rigorosamente questa circolare prefettizia restringendo a sole 425persone quella modesta concessione.
Ai già mille problemi di quei giorni il Consiglio Provinciale di Sanità volle aggiungerne uno: ordinò di costruire un canale che raccogliesse e deviasse le acque piovane provenienti dalle Rocche; potevano essere inquinate per i cadaveri rimasti sotto le macerie.
L'amministrazione comunale dovette chiamare un ingegnere, Antonio Tornatore di Sanremo, che il 22 maggio 1887 consegnò al Sindaco il disegno e una relazione sul lavoro da eseguire.
Contiene elementari osservazioni e consigli; non so perché sia stato necessario chiamare, e pagare, un ingegnere; evidentemente anche questa spesa fu imposta ai già poveri e disgraziati abitanti.
«I centri infetti - scrive l'ing. Tornatore al Consiglio Provinciale di Sanità - si trovano tutti in una zona che è inclinata verso il torrente Ar- mea. I vicoli che solcano questa zona, cioè salita alla Rocca, Torre e Zotte stanno tutti in discesa verso la piazza della Chiesa e verso il vicolo che in essa piazza viene a sboccare. In queste due località è quindi indicatissima la costruzione del canale che dovrà incominciare di fronte alla salita Rocca, correre lungo il muro della Chiesa (che cosi gli potrà servire come spallina), per poi piegarsi e svolgersi lungo il vicolo Volte fino al punto più depresso del medesimo. A questo punto lo si può interrompere perché le acque che raccoglie, con somma facilità vengono a sfogarsi lungo un altro vicolo molto in pendenza che dipartendosi da esso dopo brevissimo tratto va a terminare in aperta campagna».
Qui il Tornatore consiglia la costruzione di un canalone che immetta l'acqua in una grande fossa già esistente nell'uliveto di proprietà degli eredi G.B. Torre; accanto a questo pozzo è bene scavare una fossa di circa 40 metri cubi per accogliere l'eccesso di acqua in caso di pioggia dirotta e prolungata.
Era previsto anche un tratto di canale coperto attraverso la terra di Paolina Torre.
E le spese? Il calcolo era forse unito al disegno oggi perduto; ma alle superiori autorità non interessavano: gravavano sui poveri baraccati.


CAPITOLO IX

1 - Molti Bussanesi espulsi dalle case di Bussana Vecchia.
2 - Interruzione della fornitura dell'acqua. Restituzione delle baracche.
3 - Obbligo imposto ai privati di costruire nell'area del Piano regolatore.

1 - Non sono poche le sorprese che i documenti dell'epoca ci riservano: alcune famiglie ricevettero lo sfratto anche da quelle misere baracche, per le quali pagavano regolare affitto!
Eppure furono espulse nel 1891 perché il Commissario prefettizio Berti, che resse l'amministrazione comunale dal marzo all'ottobre 1891, aveva constatato che alcune famiglie si erano già sistemate altrove.
Arrivato in paese il 18 marzo 1891, trovò la popolazione in parte alloggiata nelle baracche «provvedute dalla pubblica beneficenza (avrebbe dovuto scrivere: pagate dai Bussanesi rinunziando ai sussidi giunti per pubblica beneficenza) e parte ancora nelle rovine; fu mia cura - prosegue - di pubblicare un manifesto con cui invitare tutti ad uscire dalle rovine».
Per dare più agile corso a questa e ad altre pratiche, usò moduli predisposti in fac-simile, cui mancava solo il nome del destinatario. Questo perfezionamento della burocrazia fu applicato proprio per intimare lo sgombero dalle case del vecchio paese.

L'ordine era cosi velocemente recapitato a chi era ritenuto «abusivo».
Eccone il testo:
«Il R.o Delegato Straordinario per l'Amministrazione Comunale di Bussana, Inteso il parere dell'Ufficio del Genio Civile. Visto 1 art. 133 della legge Comunale e Provinciale (testo unico). INGIUNGE a….. di sgomberare dalla casa sita in e farne chiudere l'ingresso e ciò entro il ter mine di giorni dieci da oggi; e ciò perché il detto fabbricato minaccia rovina in causa del terremoto del 23 febbraio 1887. Si diffida l'interessato che in caso di rifiuto vi si provvederà d'ufficio ed a tutte sue spese. Bussana il ….. 1891
Il R.o Delegato».

Preciso che nel modulo era stata scritta, ma poi cancellata, l'incredibile frase: «Si diffida l'interessato che in caso di rifiuto si procederà a far eseguire la demolizione» naturalmente a spese del proprietario.
Evidentemente considerava dei colpevoli quei poveri contadini sinistrati ai quali voleva far distruggere loro spese, quanto il terremoto aveva risparmiato.
A breve, ma ritengo significativo, commento e complemento dei fatti ora esposti, aggiungerò che qualche famiglia dopo un anno o due di vita cosi difficile nelle baracche, non avendo trovata altra sistemazione in casa di campagna o altrove, era tornata nel vecchio abitato. E' noto che molte case delle Fasciette non avevano avuto pericolosi danni. Sono ancor oggi in piedi!
Erano certamente più abitabili delle baracche.
E' difficile stabilire a quanti fu inviato tale ordine, perché in quei frangenti non fu redatto il registro di protocollo, ma da varie carte risulta che fu consegnato ai seguenti proprietari che abitavano, o avevano permesso l'abitazione, in case che elenchiamo anche per segnalare quelle meno danneggiate:

[ 16 famiglie in via Geva, Via Ospedale, Via Soleri, Via Donetti ]

Otto giorni dopo l'invio dell'ordine di sgombero dalle vecchie case fece intervenire 1 ingegnere del Genio Civile che, ispezionato il paese, «trovò che solo 15 case erano ancora abitabili; che 2 dovevano essere demolite nel giro di giorni 3; che 23 dovevano essere abbandonate in 10 giorni; 28 o riparate o abbandonate in giorni 90. Che tutte le altre non erano assolutamente abitabili».
Il Berti non confessa apertamente che egli stesso non permise le riparazioni alle 28 case dichiarate riparabili; lo farà capire però subito dopo: «per dare una maggior spinta ai ritardatari che restando nella vecchia Bussana si cullavano in folli illusioni di rinunciare alla casa in Bussana Nuova deliberai di convogliare al Capo Marine anche le acque Collette» e pertanto «feci tagliare ed asportare al Capo Marine la vecchia conduttura che dai Pianelli andava nella piazza dell'Oratorio»  .
Sono dunque considerati dei folli coloro che si illudevano di poter continuare a vivere in Bussana Vecchia!

2 - Quell'inqualificabile amministratore governativo, inviato per il bene del martoriato paese, ebbe per un momento la lucidità mentale di riconoscere che la interruzione dell'acquedotto «fu un provvedimento davvero feroce», ma subito dopo se ne fece un vanto che lo macchia di infamia:
«sorti pieno il suo effetto; i ritardatari della vecchia Bussana, vinti dalla sete, fatti persuasi del fermo proposito in me di volere ultimare al più presto il nuovo paese, si decisero, ed ora hanno tutti quanti le loro case in costruzione».
Intanto pagavano quei poveri Bussanesi affamati e dimenticati dalle alte autorità governative.
Restarono cosi senza acqua anche coloro che abitavano nelle baracche!
La più vicina fonte era «ai Pozzi» nel vallone dei Fonti.
E allora pensò che fosse bene accelerare lo sgombero anche da queste cominciando da coloro che gradatamente andavano via, trovando rifugio in casolari sparsi nelle campagne, in frantoi e dovunque si potesse usufruire di un riparo. Fece dunque arrivare a molti altri questo «avviso»: «Risulta all'Amministrazione Comunale che la S.V. per essere diversamente allogata non usufruisce della baracca che le fu concessa dopo il terremoto del 1887 per uso di abitazione. Ora trovandosi il sottoscritto nella dura necessità di valersi della medesima per dare ricovero a famiglia che per mancanza di altro locale adatto abita nelle rovine che per impellenti ragioni di pubblica sicurezza deve immediatamente sfrattare, la invito a consegnare = illico et immediate = la chiave della baracca in questione prevenendola che se tale consegna non sia fatta domani prima delle ore 12 meridiane ella sarà ritenuta dissenziente all'invito fattole e sarà altrimenti provveduto a tutte sue spese e danno.
Il Delegato»

A sostegno del suo ordine compilò di sua mano questo «Elenco delle famiglie che devono rimettere la chiave della baracca non più abitata».

[21 famiglie]

Per evitare intrusioni nelle baracche vuote, si affrettò a porne in vendita alcune, a quanto risulta da un foglio senza data, ma sempre di mano del Berti:
«Baracche da porre in vendita.
Elenco delle persone e famiglie che devono cambiare abitazione.
1° Ludovico Donetti 2° Lupi Ilario 3° Famiglia Dionisio 4° Torre Giuseppe 5° Rolando Maddalena 6° Natta Francesco 7° Ceriolo G.B. di Vincenzo 8° Amedeo Teresa 9° Lupi Veronica 10° Calvini G. Batta 11° Gollo Francesco 12° Calvini Bartolomeo 13° Donetti Metilde (3)
Tale infausto esempio di sfratto dalle baracche fu poi seguito dalla successiva amministrazione e inviato gradualmente, ma tempestivamente, a chi nel corso dei mesi successivi lasciò la baracca per migliore sistemazione.
Ecco il nuovo testo, un pò addolcito ma evidentemente ricavato da quello che il Berti cominciò a mandare nel 1891.
«Per essere diversamente allogata la S. V. non usufruisce più della baracca concessale dopo il terremoto per uso di provvisoria abitazione.
Dovendo ora, conforme a deliberazione Consigliare, provvedere all'alienazione di simili baracche, la invito a consegnare a quest'ufficio la chiave della baracca stessa entro il perentorio termine di giorni tre dalla data della presente, prevenendola che in caso diverso Ella sarà tenuta dissenziente all invito fattole e sarà altrimenti provveduto a tutte sue spese; con protesta fin d ora dei danni che all'uopo ne potessero derivare.
Il Sindaco».

Questo avviso fu redatto in seguito alla delibera comunale del 7 luglio 1892. In essa l'Amministrazione comunale retta dal Sindaco Boccone- Lotti ribadì l'ordine di consegna del legname pur riconoscendo che molte famiglie ricevettero solo il materiale dal Comitato di Bussana e «dovettero sostenere spese non indifferenti, ed aggiungere materiali propri», on delibera del 2 febbraio 1893 il Consiglio comunale decise la demolizione del ultime baracche per lo sgombero totale del terreno parrocchiale costava al Comune L. 225 all'anno; però la somma fu ancora confermate in bilancio nella seduta consiliare del 24 gennaio 1895.
Resulta cosi dramatticamente  documentata la resistenza opposta da molti ad abbandonare il vecchio paese e recarsi nel nuovo.
Non furano soltanto i motivi sentimentali a spingere la popolazione a qualla resistenza: essa capi quale sforzo finanziario doveva sopportare nell' acettare qual mutuo che per altri comuni era agevolato; cercava di sfuggire alla dura condizione dell'obbligo di pagare una casa nuova in una delimitata area. Nessuno poteva chiedere un mutuo modesto, di facile restituzione. Per costruire intieramente una casa cominciando dalla spesa d'acquisto dell'area fabbricabile, occorreva molto denaro da restituire anche se con agevolazioni.
Né si poteva costruire in zone redditizie come in Arma di Taggia o in Sanremo. C'era l'obbligo per Bussana Nuova.

3 - Questa clausola iniqua, imposta soltanto ai Bussanesi, rovinò lo spirito della Legge 4511 che si tramutò cosi da un aiuto per il disgraziato paese ad un enorme danno, paragonato da qualche contemporaneo, come riferito più sotto, ad un secondo terremoto.
Obbligò gli abitanti, che nella quasi totalità non disponevano di denaro proprio, a richiedere cifre al di sopra delle loro capacità di restituzione, necessarie però, anzi indispensabili, per costruire dalle fondamenta al tetto l'intera casa.
Ai Bussanesi non fu concessa via d'uscita: non potevano più abitare nelle vecchie abitazioni; furono tutti obbligati a costruire case nuove e solo nella località prescritta.
Questa norma fu applicata, evidentemente per ordini superiori, con estremo rigore. Occorreva uno speciale permesso perfino per edificare nel terreno che qualche abitante già possedeva, confinante con l'area delimitata nel Piano regolatore.
Tutti dovevano comprare l'area fabbricabile. Si voleva costringere all'acquisto di un lotto anche chi già ne possedeva uno vicino al futuro paese.
Ecco due casi: il dottor Gio Matteo Soleri era proprietario di un terreno situato a poche decine di metri a nord della zona riservata all'edificio delle scuole e al serbatoio comunale dell'acqua potabile.
Fiducioso nel prestito previsto dalla legge per i danni subiti alla sua abitazione in Bussana Vecchia, cominciò in quel terreno di sua precedente proprietà i lavori per la edificazione di una comoda ed elegante abitazione. Fu informato a lavori inoltrati della grave restrizione nella concessione del mutuo e presentò al Consiglio comunale la seguente domanda, che riporto integralmente perché assai significativa a questo riguardo.

«Onorevole Consiglio Municipale di Bussana. I sottoscritti quali danneggiati dal terremoto del 23 febbraio 1887, uniformandosi intieramente alla legge e regolamento per ottenere dal R. Governo il prestito di favore, già da tempo ne trasmettevano agli Istituti sovventori regolare domanda: senonché, venuti in oggi a cognizione come l'Onorevolissima Commissione Reale abbia disposto non concedersi prestito a coloro i quali riedificherebbero le loro case ex novo fuori il piano regolatore della nuova Bussana, si permettono esporre alle S.S. L.L. come tale determinazione sia per essi non solo contraria alla legge e regolamento, ma molto tardiva; e non può avere effetto retroattivo perché causa di non lievi danni agli interessi dei ricorrenti, giacché rassicurati di ottenere il prestito richiesto si misero all'opera per la costruzione nella regione del Capo Marine, località scelta ed approvata dalle L.L. S.S. e dal R. Governo, ed incontrarono non indifferenti spese nello scavo della loro nuova costruzione e nella provvista di materiali occorrenti e nella stipulazione del contratto edilizio, e cosi avrebbero perduta l'occasione di scegliersi un'area conveniente.
Pertanto i sottoscritti si rivolgono a quest'onorevole Consesso onde ottenere, anche in via eccezionale, venga loro concessa la continuazione dei lavori della loro abitazione nel terreno di loro proprietà attiguo al piano regolatore e siano ammessi a godere, secondo il regolamento, del prestito bancario; terreno che verrà compreso sull'allineamento del tipo comunale a causa di esteso franamento avvenuto in molti lotti ora inservibili e perciò abbandonati.
Fiduciosi i ricorrenti che l'Onorevole Consiglio vorrà prendere in considerazione la loro supplica, ed interessarsi a loro favore presso la R. Commissione, hanno l'onore di dichiararsi
Dev.mi ed obblig.mi Bussana 19 luglio 1889 D.re Giovanni Matteo Soleri»

Per quanto non abbia trovato il seguito della pratica, ritengo che il dottor Gio Matteo abbia potuto riscuotere il mutuo di L. 12.000 promessogli, come risulta dall'elenco ufficiale pubblicato nella Relazione della R. Commissione.
Analoga concessione (!) fu accordata il 16 ottobre 1898 a Calvini Vincenzo che, proprietario di un terreno confinante a sud con l'area prevista nel Piano regolatore, dovette fare domanda, ed attendere il sospirato permesso comunale di costruzione, per non perdere il diritto al mutuo. Eppure, come è ben precisato nel documento, quel terreno era compreso in una zona già prevista «per futuro ingrandimento» del nuovo paese.
Tale era dunque l'ostilità alla concessione del mutuo per chi, pur con ben motivate ragioni, chiedeva di costruire ai confini dell'area del Piano regolatore! Inutile era sperare in quello che agli abitanti degli altri 235 paesi era palesemente permesso: costruire liberamente!
Per Bussana riferisco un solo caso di rifiuto, riportando il significativo intero documento: è la risposta data alla bussanese Calvini Maria sposata, e perciò abitante, a Poggio.
«La Giunta, vista la domanda inoltrata dalla signora Calvini Maria fu Egidio, moglie di Grossi Bianchi Andrea, nata a Bussana ed ora dimorante a Poggio di Sanremo, con la quale chiede le venga concesso di impiegare la sua quota dell'anticipazione in conto corrente ascendente a L. 4.640 nella costruzione di una nuova casa da erigersi sul territorio di Poggio (Sanremo) anziché su quello di Bussana ove sofferse il danno.
Ritenuto che la Commissione Reale pei danneggiati dal terremoto di Bussana, ha stabilito il principio per Bussana di non concedere anticipazioni in c/c ove le stesse non siano destinate alla costruzione di nuove case entro il piano regolatore.
Ritenuto che un tale principio fu già adottato per altri che trovavansi in identico caso della richiedente, unanime delibera non poter accogliere la domanda di cui sopra è caso». (6)
Appare dunque evidente che non erano le autorità locali, comunque diverse nelle persone durante gli anni citati, ma proprio quelle di Roma che imposero questa clausola restrittiva alla concessione del mutuo.
La legge fu dunque uguale per tutti?
I capi politici che idearono questa restrizione e la vollero applicare rimasero nell'ombra: non la esposero pubblicamente, non la stamparono né tanto meno la firmarono. Appare però evidente dai documenti ufficiali che Qui riportiamo. Fu espressa con qualche lettera, andata smarrita, o proclamata da voce autorevole; per esempio dal De Rossi, segretario della R. Commissione per i danneggiati del terremoto, che venne in Bussana, forse per questo scopo, il 28 agosto 1890
Ebbe anche qualche influente sostenitore in paese, ma non saprei chi; forse i Comanedi e lo Spinola; non il Parroco che era contrario allo spostamento del paese al Capo Marine, né il Sindaco Geva, accusato dal Berti di essere uno dei ritardatari a presentare il progetto di riedificazione della propria casa.
Questa clausola venne comunque dall'alto: fu non solo conosciuta ma anche sostenuta da S. Ecc. Biancheri, presidente della Camera e della R. Commissione per i danneggiati dal terremoto.
La prima autorità, in ordine di tempo, che la fece applicare, senza riportarne il testo, fu il Commissario prefettizio Berti, che resse l'amministrazione comunale nel 1891. Per lui fu un vanto aver fatto sloggiare tante famiglie dalle loro vecchie case e aver costretto 122 di esse a comprare 75 lotti di area fabbricabile nella zona del Capo Marine.
Ben più esplicita ed autorevole è la «Relazione della Commissione Reale» proprio incaricata dal Governo di organizzare e distribuire i mutui ai Comuni e ai privati.
In essa sono anche riportate (p. 130 e segg.) le Leggi e i relativi Regolamenti ufficiali, che nulla dicono di particolare per Bussana, unita dunque ai 235 altri Comuni beneficiati.
A quell'apparato legislativo è premesso un lungo commento composto dal presidente Biancheri e dal segretario De Rossi, i quali con alcune ambigue frasi cercano di addossare la responsabilità del trasferimento del paese alla volontà popolare (non avevano letto la Relazione stampata due anni prima dal Berti?) ma talvolta si contraddicono e riconoscono (p. 11) quanto segue:
«Sarebbe impossibile descrivere in qual cumulo di rovine fosse ridotto quell'abitato (di Bussana). Basti il dire che tutti quanti vi avevano la loro dimora furono costretti a ricoverarsi in misere baracche nelle quali dovettero soggiornare lungo tempo essendo stato deliberato dalla Commissione Reale che l'antico paese, ossia l'ammasso di rovine della vecchia Bussana dovesse essere del tutto abbandonato, ed in sostituzione si edificasse una nuova Bussana».
Qui dunque è ben chiara l'ammissione che l'ordine per un nuovo paese venne dall'alto. Ne è sicura conferma l'esclusione dai benefici della legge 31 maggio per coloro che non obbedivano. Anche questo è dichiarato nella Relazione: «Giova peraltro avvertire (p. 79) che una tale facoltà (di costruire liberamente dove ognuno voleva) la Commissione non credette estendere ai danneggiati di Bussana.»
E più sotto aggiungono: «A prescindere che tutte le domande di anticipazione presentate dai danneggiati (di Bussana), erano dirette allo scopo di ricostruire le case nel nuovo paese, perché nessuno in allora pensava a riparare o a ricostruire quelle del vecchio abitato, trattandosi di un caso assolutamente eccezionale, occorreva un provvedimento coercitivo atto a raggiungere lo scopo prefisso, quello cioè della costruzione della nuova Bussana, e questo lo si ravvisò nelPobbligo fatto ai sovvenuti di fabbricare le loro case nella località prescelta, e nei limiti del piano regolatore, diffidandoli che in caso contrario, sarebbero stati dichiarati decaduti dal beneficio della sovvenzione. Se cosi non si fosse fatto, dopo di aver spese le centinaia di mila lire in opere pubbliche, si sarebbero avute case sparse nel vecchio e nel nuovo abitato, ma lo scopo non si sarebbe raggiunto».
Queste ammissioni dell'alta autorità politica sono un poco raddolcite e giustificate, ma significative.
Da notare la preoccupazione qui espressa dalla R. Commissione circa
lo spreco di molto denaro («centinaia di mila lire») se non fosse stato dato l'ordine di rifare tutto l'abitato di Bussana; sembrerebbe quasi che tutto quel denaro appartenesse allo Stato. Si trattava invece di soldi dei Bussanesi che si pagarono le spese delle proprie case e delle opere pubbliche.
E che sia stato anche personalmente l'on. Biancheri a imporre l'obbligo dell'impianto di un nuovo paese, appare da una lettera del Commissario Prefettizio Berti. Questi scrivendo direttamente all'on. Biancheri il
17 luglio 1891 si vanta della decisione di tagliare la condotta dell'acqua potabile «per obbligare gli abitanti della vecchia Bussana a scuotere la loro inerzia» (8). Ne avverte l'on. Biancheri - dichiara il Berti stesso - per prevenire eventuali proteste, conoscendo evidentemente che tale sua pressione era gradita all'eminente uomo politico.
L'ingiusta e illegale clausola, cui invano la debole e abbandonata popolazione di Bussana si oppose con il voluto ritardo a chiedere i mutui e le aree fabbricabili, finalmente fu rinfacciata al Governo, in forma ufficiale, dalla Amministrazione comunale del 1897.
In una petizione rivolta a S.Ecc. il Presidente del Consiglio dei Ministri, firmata da una commissione delegata dalla popolazione e dal Consiglio comunale in data 6 giugno 1897 <  si accennava al disastroso terremoto e all'iniquo obbligo di ricostruire il paese «a totale carico dell'intera popolazione».
Quindi proseguiva in questi più espliciti termini: «Tali risultando gli oneri gravissimi a cui andavano incontro gli abitanti di Bussana ricostruendo a nuovo il paese, e nella eccentrica località descritta, era ben naturale e certo, (e ben lo si comprese) che quando essi fossero lasciati liberi di riattare le proprie abitazioni, o di fabbricare su quel terreno od in quell'abita-
to che più tornasse favorevole ai singoli loro interessi, tutti, o sarebbero ritornati ai rispettivi vecchi abituri, od avrebbero dato mano alla costruzione di case rurali sparse per la campagna, esenti perciò da ogni aggravio di tasse ed in relazione all'unica industria del paese; oppure, finalmente, avrebbero costruite le loro case a scopo di lucro in località prossime come Sanremo ed Arma, o lontano; ma sempre più ospitali e rimuneratrici che non nella nuova Bussana ove, il possesso di una casa, senza un nuovo, sicuro e reale aiuto, avrebbe sempre rappresentato una enorme passività.»
Riconosciuto il nobile scopo patriottico di tale disposizione, cosi continua: «Bussana doveva riedificarsi ad ogni costo, e sotto le forme più moderne.- E cosi avvenne che, mentre in forza della ripetutamente citata legge, a tutti gli abitanti degli altri paesi liguri danneggiati dal terremoto veniva accordato un mutuo a favorevoli condizioni per riattare la propria abitazione, od edificare altro fabbricato, di qualunque forma e misura, in qualsiasi località o paese, a libera scelta del proprietario, per quei di Bussana invece, ad eguali condizioni di prestito, tassativamente si prescriveva che la nuova casa - non poteva essere che tale - dovesse unicamente sorgere sulla nuova area prestabilita, e seguendo scrupolosamente un piano determinato: si prescriveva ancora la erezione dei fabbricati pubblici, la costruzione di nuove strade interne e vicinali, la sistemazione delle acque piovane, la formazione di piazze, la condotta dell'acqua potabile ecc. ecc., e tutto ciò a totale carico di quei soli pochi 800 abitanti».
E più sotto è ribadita tale affermazione: «Dunque differenza di trattamento tra i varii paesi liguri, pur essi colpiti dal terremoto, e Bussana, perché ad eguali vantaggi si fanno corrispondere obblighi differenti; dunque maggiori aggravii e disagi maggiori per questo già di sua natura infelicissimo paese; dunque per esso vincoli nuovi, e nuove ragioni di spese da una parte e mancati vantaggi dall'altra».
Qualche anno dopo, con decisa franchezza, Fon, Nuvoloni in un coraggioso discorso alla Camera ricordò quella palese ingiustizia perpetrata contro Bussana e la rinfacciò al Presidente, che era proprio l'On. Biancheri già Presidente della Commissione Reale sul quale dunque ricadeva
la responsabilità di quel funesto torto.
E l'On. Biancheri ascoltò senza smentire, ammettendo dunque la verità di quelle parole che qui in parte riportiamo.
«Si mandò sul luogo il segretario, se non erro, della Commissione centrale pei danneggiati dal terremoto affinché convincesse quella popolazione che non aveva altra via d'uscita: o fabbricare nel nuovo piano regolatore
o non avere il mutuo. E che cosa successe? Si dovette sciogliere il Consiglio comunale e si mandò un Commissario regio, il quale, per costringere quelli di Bussana, fu costretto a ricorrere a questo estremo espediente e cioè tolse l'acqua potabile che doveva servire per l'abitato vecchio e la mandò nella nuova località.
Soltanto perché furono presi come si suol dire col laccio alla gola in questo modo, i Bussanesi hanno ottemperato alle deliberazioni giustamente prese dal Comitato centrale ed hanno colà fabbricato».
E sia pur con minor autorità ma non minor calore, cosi su tale questione si esprimeva un contemporaneo, non interessato ai fatti; «La quasi totalità (degli abitanti di Bussana) non intendeva scostarsi troppo dai ruderi dei loro padri e avrebbe preferito una specie di altipiano ai piedi del distrutto paese. Comune esclusivamente agricolo quella località era nel centro del territorio e li sarebbe stato loro comodo usufruire i materiali delle rovine nelle quali avrebbero potuto conservare qualche stalla, qualche fienile e qualche terrazzo e loggia per disseccare i fichi. Ma nossignore! L'Italia, subito dopo il disastro, aveva sfarzosamente allargato i cordoni della sua borsa, non a beneficio dei colpiti ma di quello sciame di speculatori che si erano affollati come jene in quelle immense necropoli, e la Legge 30 maggio 1887 economicamente riusci più disastrosa del terremoto istesso. Di conseguenza e Ingegneri e impresari e autorità tutorie spinsero, vollero, imposero che la Bussana nuova sorgesse nel luogo dove ora la vediamo, luogo poco propizio alle necessità agricole e tale da non poter profittare del transito lungo la via nazionale della cornice. E i cittadini, differentemente da quanto si concesse agli altri, vennero costretti a fabbricare dove, come e per quanto fosse loro imposto».